“L’AYAHUASCA NON È UNA DROGA RICREATIVA, TUTTO IL CONTRARIO” Jordi Riba. 

IL GIORNALE SPAGNOLO “LA VANGUARDIA”, DI BARCELLONA,  PUBBLICA UN ARTICOLO RIGUARDANTE UNA RICERCA SCIENTIFICA SULL’AYAHUASCA

Jordi Riba, un farmacologo che conduce ricerche scientifiche sulle sostanze psicoattive, è stato recentemente incluso dalla rivista “Rolling Stone” nell’elenco delle 25 persone che segneranno il futuro della scienza.

Esiste un detto che recita “Nessuno è profeta nella propria patria”. E molte volte è vero. È qualcosa di ben noto a Jordi Riba, un farmacologo catalano che è stato appena incluso dalla rivista americana Rolling Stone nella lista delle 25 persone più influenti nel futuro della scienza. Riba (nato a Barcellona nel 1968) gode di molti riconoscimenti all’estero. “Tengo una media di 10/12 conferenze all’anno in Europa e negli Stati Uniti”, dice. Ma in Spagna le sue ricerche, per il momento, non hanno avuto molto impatto. Forse è a causa delle sostanze che studia, qualcosa di esotico. Questo scienziato si dedica alla farmacologia del sistema nervoso centrale e alle neuroscienze in generale. Ha studiato sostanze psicoattive che producono modificazioni della percezione e della cognizione, come l’Ayahuasca, una specie di miscela che le popolazioni indigene dell’Amazzonia assumono da tempo immemorabile. Grazie alle sue ricerche, Riba, responsabile dell’equipe di Neuropsicofarmacologia dell’Istituto di Ricerca Hospital de Sant Pau , ha scoperto e rivelato parte del potenziale che questa bevanda nasconde, ed ha voluto condividerlo con La Vanguardia.

 

Come ci si sente ad essere inclusi tra le 25 persone più influenti nel futuro della scienza?

Totalmente sorpreso e stupefatto. Mi fa davvero piacere pensare che ci siano persone che riconoscono il lavoro che stiamo facendo. Ho lavorato per 20 anni in un’area di studi e ricerche non ortodossa, che è cresciuta molto negli ultimi anni, soprattutto all’estero. In particolare, uno degli aspetti per cui sono  felice di essere stato scelto ed incluso in questa lista è che, forse, ciò implicherà che l’area in cui lavoro verrà maggiormente conosciuta nel mio paese. Devo dire che nel mondo della scienza ci sono persone mille volte migliori di me [ride]. Lo prendo come un riconoscimento, senza crearmi pensieri deliranti sulle mie capacità.

Che responsabilità, non trova?

No, ti devi creare un po’ una corazza, rispetto a questo. Quando arrivai qui 20 anni fa [all’Ospedale de la Santa Creu i Sant Pau] proposi di iniziare a studiare sostanze psicoattive a colui che era il capo della farmacologia in quel momento, il dottor Manel Barbanoj. La mia proposta gli sembrò interessante, era una persona con una mente molto aperta; ma le reazioni che percepivo intorno a me erano piuttosto di scetticismo.

Andai avanti nel mio percorso, nonostante lo scetticismo, perché capivo che quello che volevo studiare e approfondire con la mie ricerche era abbastanza interessante da dedicarci la mia attenzione.

I suoi studi sono alquanto esotici…

Sì, è un’area molto esotica. Se persegui qualcosa che non è all’interno di un progetto già finanziato, significa che lo sforzo che dovrai fare sarà cento volte più alto. Ho seguito la mia strada, nonostante lo scetticismo, i dubbi, le possibili critiche e i vari ostacoli, perché capivo che ciò che volevo studiare era abbastanza interessante da volerci dedicare la mia attenzione. Ma tutto ciò non smette di essere un impegno con me stesso, non sento una responsabilità speciale per il fatto di essere stato inserito in quella lista.

In che modo l’Ayahuasca ha incrociato il suo cammino?

Sono sempre stato interessato alla biochimica cerebrale. Ero venuto a sapere di opere di antropologi che erano andati a studiare l’Ayahuasca in Sud America. Lessi alcuni dei loro racconti e entrai in contatto con alcuni di loro. In seguito, a metà degli anni ’90 e per le casualità della vita, incontrai alcune delle persone che iniziavano ad organizzare sessioni di Ayahuasca in Catalunya, in particolare nei dintorni di Barcellona, ​​e che si avvicinavano a una serie di pratiche e rituali che venivano dal Brasile e che prevedevano l’assunzione di una bevanda con proprietà psicoattive.

Negli anni 90 vi erano già gruppi qui in Spagna che organizzavano queste attività…

C’era un altro gruppo alle Baleari, un altro a Madrid… Trovavo interessanti le motivazioni che li portavano ad assumere quella sostanza. Mi aspettavo un uso ludico di sostanze psicoattive, invece scoprii tutto il contrario.

Cosa scoprì?

Quelle persone si incontravano ogni quindici giorni. Mi spiegarono che, attraverso la loro esperienza soggettiva con l’Ayahuasca, entravano in uno stato di introspezione in cui sperimentavano tutta una serie di sensazioni, in particolare legate al recupero di ricordi emozionali, e questo era molto importante per loro. Notai che questi ricordi, che a volte apparivano sotto forma di visioni simili ai sogni, li aiutavano a rivisitare alcuni aspetti della loro storia di vita; e tutto avveniva con la costante consapevolezza che quel processo fosse il prodotto di quello che avevano bevuto.

Dicevano che li aiutava a superare alcune situazioni conflittuali, traumi, che avevano vissuto durante tutta la loro vita.

Curioso.

Dicevano che li aiutava a superare alcune situazioni conflittuali, traumi, che avevano vissuto durante tutta la loro vita. Venti anni più tardi, l’Ayahuasca è diventata molto popolare. Attualmente, tra coloro che si avvicinano a questo rituale, vi sono anche persone che soffrono di stress post-traumatico, ad esempio ex combattenti degli USA che hanno vissuto i traumi della guerra in Afganistan o Iraq, e con i quali finora non ha funzionato nessuna terapia, tanto che continuano ad avere ricordi dolorosi e intrusivi e tutta una serie di sintomi invalidanti. Questa è la realtà più recente delle persone interessate a questo tipo di percorsi.

Mi ha parlato della metà degli anni ’90 e del presente. Ma nel mezzo, che tipo di persone consumavano questa bevanda?

Persone che avevano seri problemi di dipendenza da cocaina ed eroina, e che sono stati in grado di abbandonare questo tipo di dipendenze dopo un periodo in cui hanno assunto Ayahuasca all’incirca dalle sei alle dieci volte. Dopo di ciò, decisero di abbandonare completamente quel cammino di vita autodistruttivo che stavano conducendo.

Persone che avevano gravi problemi di dipendenza da cocaina sono stati in grado di superarla dopo aver preso l’Ayahuasca.

​Sembra incredibile.

Quando ascolto queste storie, penso che quello che faccio sembra essere in grado di aiutare qualcuno. Se provo a capire qual è il meccanismo dietro a tutto questo, posso far notare alla comunità scientifica che forse dovremmo prestare attenzione a questa faccenda. Quando ho iniziato, si rivolgeva poca attenzione a queste sostanze, e ciò rendeva per me questo campo molto attraente, essendo un terreno sconosciuto. Se hai lo spirito del ricercatore, questo è ciò che ti piace fare.

​Ora l’interesse è maggiore?

Si stanno aprendo le porte in altri paesi, come l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Università e centri di ricerca di altissimo prestigio stanno studiando sostanze analoghe. Personalmente io studio l’Ayahuasca; il principio attivo che produce le visioni si chiama dimetiltriptammina (DMT), ma sono stati condotti altri studi sulla psilocibina, e anche sull’MDMA, il principio attivo dell’Ecstasy. Si sta vedendo che c’è tutta una serie di sostanze, che avevano una pessima reputazione, che se usate in un contesto appropriato – con uno scopo specifico e con un target ben scelto di pazienti – possono avere effetti benefici.

​E lei dove colloca il punto di svolta, il cambio di tendenza?

Nel ritrovamento, circa dieci anni fa, di un anestetico chiamato ketamina, che, a dosi sub-anestetiche, produce cambiamenti della percezione molto intensi. Negli Stati Uniti un gruppo di psichiatri vide che, somministrato a determinate dosi, era un potente antidepressivo che agiva molto rapidamente. E ora c’è un boom della ricerca su questo tipo di antidepressivi, che agiscono rapidamente attraverso meccanismi molto diversi da quelli usati nelle droghe tradizionali.

Capisco.

Con gli antidepressivi tradizionali, sono necessarie dalle tre alle quattro settimane per poter iniziare a vedere qualche miglioramento dei sintomi. Con l’Ayahuasca, in uno studio che abbiamo condotto in Brasile, il miglioramento dei sintomi è stato osservato poche ore dopo la somministrazione di una singola dose e l’effetto si mantiene per tre settimane.

Stiamo vedendo che qualcosa che veniva stigmatizzato come una droga consumata nei “rave”, con alcuni pazienti funziona, apportando notevoli benefici.

Sorprendente.

​Questi risultati sono stati raggiunti sistematicamente con la ketamina e questo ha aperto la mente a molte persone. Stiamo vedendo che qualcosa che veniva stigmatizzato come una droga  consumata nei “rave”, con alcuni pazienti funziona, apportando notevoli benefici. Quello che succede con la depressione è che c’è una percentuale molto alta di pazienti con i quali nessun farmaco funziona. Stiamo parlando di pazienti con i quali nemmeno la terapia elettroconvulsiva, gli elettroshock, hanno funzionato.

E come agisce a livello cerebrale?

È una preparazione abbastanza complessa. Si tratta di un infuso, un tè, che si ottiene principalmente da una liana  denominata Ayahuasca – che dà il nome alla bevanda – che cresce nell’alta Amazzonia (Bolivia, Venezuela, la parte occidentale del Brasile, Perù ed Ecuador). Questa liana contiene una serie di principi attivi, e, attraverso le nostre ricerche, abbiamo visto che essi hanno effetti molto interessanti sul sistema nervoso centrale e che non sono responsabili delle visioni. La preparazione consiste nello schiacciare la liana e metterla in infusione con le foglie di un’altra pianta. In queste foglie c’è un composto, il DMT, che strutturalmente è molto simile alla psilocibina, che è un altro psichedelico.

Si tratta di una preparazione piuttosto complessa, che si ottiene principalmente da una liana

​Continui, la seguo.

La psilocibina può essere assunta per via orale, non si degrada e si assorbe. Ma la DMT, se assunta da sola, anche una quantità di alcuni grammi, si degrada completamente e non raggiunge il sangue; di conseguenza non ha effetti. Ciò che avviene di particolare è che i principi attivi della liana bloccano la degradazione della DMT. E viene spontaneo chiedersi come possa essere che gli abitanti di quella zona del pianeta, che è uno dei luoghi con la maggiore biodiversità vegetale che si possa immaginare, abbiamo deciso di miscelare insieme proprio questa liana con le foglie di un’altra pianta.

Appassionante.

La liana è molto robusta, è come un tronco. Tagliarla, schiacciarla e preparare l’infusione è un lavoro immenso, non si fa per caso. Nessuno ha idea di come siano arrivati alla conclusione che questa combinazione di piante avrebbe funzionato. Dall’unione di queste due piante nasce la miscela che è arrivata in Europa e USA, ma vi sono altri gruppi che aggiungono piante diverse che contengono altre sostanze psicoattive, e il cui consumo potrebbe supporre un maggior rischio per la salute.

​Ci vuole molta cautela. 

Molte persone che vogliono sperimentare l’Ayahuasca si recano nell’Amazzonia peruviana, vanno con la prima persona che dice loro di essere uno sciamano e bevono ciò che gli viene offerto senza sapere cosa stiano prendendo. Potrebbe esserci, ad esempio, scopolamina (popolarmente conosciuta come burundanga), che è una sostanza che può mettere la tua vita in pericolo.

Torniamo alle sue ricerche…

Abbiamo condotto studi di neuroimmagine e quello che abbiamo visto è che, sotto gli effetti dell’Ayahuasca, ciò che accade è un’attivazione delle aree del cervello che sono coinvolte con l’elaborazione di emozioni, della memoria e di aree che sono al confine tra aspetti cognitivi ed emotivi. C’è anche una certa attivazione delle aree visive, anche se non è molto sorprendente, quindi non siamo sicuri che questo fenomeno sia responsabile delle visioni.

Molte persone che vogliono sperimentare l’Ayahuasca si recano nell’Amazzonia peruviana, vanno con la prima persona che dice loro di essere uno sciamano e bevono ciò che gli viene offerto senza sapere cosa stiano prendendo.

Capisco.

​Il risultato finale è che la persona, d’improvviso, recupera visioni che in genere possiedono importanti carichi emozionali. Ci sono persone che, ad esempio, rivivono una relazione con qualcuno che è stato importante nella loro vita. L’esperienza è piuttosto intensa e può essere travolgente. Se guardi una sessione dall’esterno, vedi la persona seduta su una sedia con gli occhi chiusi. Ma all’improvviso, dopo un po’, potrebbe iniziare a piangere.

Quanto può durare l’effetto?

Tipicamente, gli effetti iniziano circa 45 minuti dopo aver preso una dose, ci vuole molto tempo. La partenza è graduale, raggiungendo il massimo dell’effetto dopo un’ora e mezza o due ore. Poi inizia a diminuire, e dopo quattro o sei ore dall’assunzione gli effetti sono completamente scomparsi. Dipende anche dalla quantità che è stata ingerita.

L’esperienza è piuttosto intensa e può essere travolgente.

In generale, c’è un consumo responsabile di Ayahuasca?

Vedere come alcuni ne banalizzano l’uso, fa venire le vertigini. Ci sono persone che organizzano sessioni di Ayahuasca in qualsiasi luogo, come un’esperienza alla moda descritta sul “New York Times”… Capisco che ci sono persone che vanno a queste sessioni pensando che passeranno momenti piacevoli, ludici, ma di ludico non c’è niente. Le persone, dopo l’esperienza, dicono “wow, wow, wow!”.

Lascia un segno…

Da tempo sto esaminando persone che l’ abbiano utilizzata; loro ritengono che, a seguito delle esperienze vissute, acquisiscono comprensioni utili per la loro vita, ma a volte, mentre sono in una sessione e stanno per prendere l’infusione, pensano “cosa ci faccio qui, sapendo quello che avverrà!”. Tutti mi dicono che non è una droga ricreativa, al contrario. Se stai cercando di scappare dai tuoi problemi, prendere l’Ayahuasca è l’ultima cosa che dovresti fare, perché li mette proprio di fronte ai tuoi occhi e li rivivi più volte in maniera dolorosa.

Se stai cercando di scappare dai tuoi problemi, prendere l’Ayahuasca è l’ultima cosa che dovresti fare.

​In altre parole, non è per niente una droga ricreativa.

Ha una serie di inconvenienti che la rendono spiacevole. Nella sua forma abituale, ha un sapore orribile, ha anche un cattivo odore, produce una sensazione di bruciore nello stomaco e una nausea praticamente immediata dal momento in cui viene assunta. Inoltre è abbastanza normale che la persona, dopo averla presa, vomiti. Di ricreativo ha pochissimo. Se a questo si aggiunge che le esperienze possono essere molto forti e dolorose dal punto di vista emotivo… Questo secondo me rappresenta una barriera di sicurezza.

In che senso?

Conduco studi con pazienti che hanno problemi di dipendenza, e le persone che lavorano con loro mi dicono: “Mi stai dicendo che vuoi fare delle prove con qualcuno che ha problemi di dipendenza dandogli qualcosa che contiene un potente psicotropico che potrebbe avere un potenziale di abuso?”. Ti assicuro che nessuno prenderebbe l’Ayahuasca giusto per il gusto di farlo,  garantito al 100%.

Ti assicuro che nessuno prenderebbe l’Ayahuasca giusto per il gusto di farlo,  garantito al 100%.

È una buona notizia…

Una cosa che abbiamo scoperto di recente è che i composti della liana, che si pensava aiutassero solo a non degradare la DMT, hanno degli effetti biologici molto interessanti. Nel cervello adulto dei mammiferi ci sono un certo numero di nicchie di cellule staminali che producono nuovi neuroni. A questo fenomeno non è stata data molta attenzione, perché il tasso di produzione è francamente basso. Ora abbiamo visto che due dei composti presenti nella liana, le beta-carboline, hanno effetti neurogenici molto potenti.

​Aiutano a generare neuroni?

Stimolano la proliferazione del numero di queste cellule staminali e la loro migrazione per integrarsi in circuiti cerebrali preesistenti, dove vengono trasformati in neuroni funzionali. Questi tre processi sono stimolati da questi due composti della liana. Sono le conclusioni di un articolo che abbiamo appena pubblicato e che ha lasciato tutti abbastanza sorpresi, me per primo.

Sembra promettente.

Quando spiego che ci sono persone che grazie al consumo di Ayahuasca hanno effettuato un cambiamento di vita, che erano immersi nella depressione o nelle dipendenze e sono stati in grado di reindirizzare il loro cammino, e descrivo l’esperienza soggettiva che mi raccontano, mi capita di imbattermi con molte persone scettiche. Ma quando stai testando biologicamente questi composti e osservi che agiscono nella stessa maniera degli antidepressivi efficaci a livello clinico, allora puoi contare su dei dati che sono più facilmente trasferibili e che possono essere maggiormente accolti e accettati dalla comunità dedicata allo studio delle neuroscienze.

Sembra che l’Ayahuasca abbia un grande potenziale.

Che produca un effetto a livello biologico è molto evidente. Abbiamo anche visto, facendo studi di risonanza magnetica funzionale – vale a dire, guardando la struttura cerebrale e la funzione del cervello – che 24 ore dopo il consumo di Ayahuasca vi è una diminuzione dell’attività di una zona del cervello, la parte mediale del lobo parietale, che è direttamente associata alla percezione intima di se stessi. In situazioni patologiche, nelle quali ci possono essere sintomi depressivi, questa zona è in uno stato di iperattività, e questa iperattività è direttamente correlata a pensieri ossessivi e negativi.

Mi capita di imbattermi con molte persone scettiche.

Capisco.

Se ci confrontiamo con altre grandi scimmie (gorilla, scimpanzé, bonobo), una delle cose che ci differenzia da loro è una grande espansione di quest’area mediale del lobo parietale. Vi è una crescente evidenza che questa parte del cervello sia probabilmente associata ai processi di coscienza del proprio sé. Sembra che uno stato specifico di questa zona sia correlato con pensieri di tipo negativo e abbiamo notato che, una volta scomparsi gli effetti acuti dell’Ayahuasca, vi è una disattivazione di quest’area.

Interessante.

A livello psicologico, abbiamo osservato che, passati gli effetti acuti dell’Ayahuasca, si assiste a una diminuzione della costante autovalutazione negativa che alcune persone fanno di se stesse. Questo è un deficit che i miei colleghi del dipartimento di psichiatria osservano in molti pazienti indipendentemente dalla loro diagnosi.

Che produca un effetto a livello biologico è molto evidente.

Ne deduco che questa sostanza ha molte applicazioni.

Parlando con colleghi che trattano le persone con problemi di dipendenza, mi dicono che, ad esempio, non esiste nulla al momento per il trattamento della dipendenza da cocaina. Non è che non esista nulla che funzioni, è che non hanno nulla da dare loro. Tutto viene trattato come sintomatico: se il paziente è ansioso gli somministrano benzodiazepine, se ha sintomi psicotici gli danno degli antipsicotici, oltre a dare loro dei farmaci che bilancino gli sbalzi di umore… Abbiamo fatto uno studio con  persone alle quali era stata diagnosticata esclusivamente la dipendenza da cocaina e abbiamo osservato cambiamenti nella loro struttura cerebrale.

Di che tipo?

La connessione e il volume delle aree del cervello che sono costantemente alla ricerca di gratificazione si erano rafforzati, e, allo stesso tempo, abbiamo osservato che le aree del cervello che ti aiutano a valutare una situazione e ti avvertono di possibili pericoli erano disattivate. Considerando ciò che abbiamo rilevato, non mi sorprende che per queste persone sia estremamente difficile abbandonare la loro dipendenza; abbiamo osservato in loro cambiamenti strutturali, il loro cervello si è interamente ricollegato.

Abbiamo osservato che, passati gli effetti acuti dell’Ayahuasca, si assiste a una diminuzione dell’autovalutazione negativa e nociva che alcune persone fanno di se stesse.

Sorprendente.

Sono situazioni molto problematiche. Ma quando vedo, parallelamente, che ci sono persone che grazie all’Ayahuasca – come esse stesse mi riferiscono – sono riuscite ad abbandonare le loro dipendenze, allora nonostante lo stigma relativo al fatto che sia una sostanza usata dagli indigeni, e che sia psicoattiva, psichedelica, hippie ecc., sento l’obbligo di studiarla, perché, se non lo faccio, vengo meno al mio dovere di ricercatore. Il percorso che ho iniziato è stato abbastanza solitario dal 1996 al 2005, ma poi negli Stati Uniti hanno iniziato a comparire degli studi con la psilosibina, proprio nella migliore scuola di medicina del paese, la Johns Hopkins.

È un centro di grande prestigio.

C’è un altro psichiatra che porta avanti lo stesso lavoro a Los Angeles presso l’Università della California (UCLA).  Inoltre la FDA, l’Agenzia del farmaco nordamericana, ha dato all’MDMA la designazione di terapia prioritaria per trattare lo stress post-traumatico, che rappresenta un problema enorme negli Stati Uniti, e vi è un altro gruppo che sta effettuando questo tipo di studi presso l’Imperial College di Londra. Gli Stati Uniti sono stati anche il paese in cui vennero fatte le prime ricerche utilizzando la ketamina per uso terapeutico. Quando istituzioni prestigiose come queste iniziano a condurre questo tipo di studi, si riesce a ottenere l’attenzione di molte più persone quando si parla di queste tematiche.

Quando vedo che ci sono persone che grazie all’Ayahuasca sono riuscite ad abbandonare le loro dipendenze, sento l’obbligo di studiarla.

Prima ci ha spiegato che alcuni composti della liana hanno la proprietà di generare neuroni. Ciò potrebbe avere un’applicazione pratica per curare malattie come l’Alzheimer?

Siamo ancora lontano. Siamo molto cauti. La velocità con cui vengono prodotti nuovi neuroni dalle nicchie esistenti nei cervelli di mammiferi adulti è bassa. Puoi stimolarlo, ma ci siamo sempre domandati fino a che punto farlo e se questa stimolazione potrebbe arrivare a contrastare la perdita neuronale associata a una malattia neuro-degenerativa. Non abbiamo ancora la risposta a tutto ciò. Il prossimo passo che vogliamo compiere è testarlo con gli animali, vogliamo vedere se si potrebbero prevenire o invertire i deficit cognitivi.

Se tutti questi studi e ricerche che ha effettuato non arriveranno un giorno ad avere un’applicazione terapeutica, come si sentirà?

Ho iniziato a studiare tutto ciò perché ero molto incuriosito dal suo meccanismo d’azione. Non sono un clinico, mi interessa molto sapere come funziona il cervello e come fosse possibile che sostanze a priori molto semplici potessero alterare in modo così profondo la capacità di percepire e pensare le nostre emozioni, così come la percezione di noi stessi e del nostro ruolo nel mondo. Questo era il mio interesse principale. Ero lo scettico numero uno rispetto al fatto che queste ricerche potessero arrivare ad un’applicazione terapeutica prima o poi. Non era il mio obiettivo. Ma altri hanno visto che potevano averla, e hanno quasi dovuto convincermene. In questo caso, ritengo che la relazione rischio-beneficio sarebbe totalmente giustificata.

A cosa serve sapere come agisce una sostanza nel cervello se in seguito non si arriva ad un’applicazione terapeutica?

Le leggi di Newton sono del secolo XVII e non furono applicate per arrivare alla Luna fino al 1969. Probabilmente Newton non ci pensò mai, lo fece per il gusto di comprendere come funzionasse la forza di gravità.

Lei fa ricerca per il gusto di conoscere…

Sì, fondamentalmente lo faccio per il gusto di sapere. Passi lunghi periodi di tempo nella totale miseria emotiva, ma il giorno in cui ottieni dei risultati… quel giorno ti senti soddisfatto.

Un neofita della materia come me trova molto difficile comprendere che si possa portare avanti ricerche scientifiche su qualcosa senza uno scopo pratico.

Lo cercherai successivamente. Questo è il grande errore che si sta commettendo riguardo all’approccio che viene dato alla scienza. Quando chiedi risorse per un progetto, ti viene chiesta la capacità di applicazione che avrà sotto forma di beneficio per la società. È una visione che puoi applicare all’ingegneria, ma nessuna delle grandi scoperte mediche è arrivata attraverso un obiettivo prestabilito. Molte volte si dice, erroneamente, che qualcosa è stato scoperto per caso.

Nessuna delle grandi scoperte mediche è arrivata attraverso un obiettivo prestabilito.

Serendipità.

Fleming stava lavorando con le sue culture batteriche e un giorno, per caso, furono contaminate da un fungo. Avrebbe potuto prendere quella piastra e dire “Si è contaminata, che sfortuna, la pulisco e continuo con l’esperimento”. Ma invece si fermò e vide che non c’erano batteri intorno al punto in cui era cresciuto il fungo. E si chiese: “Questo fungo impedisce la crescita dei batteri?”. Ma se avessero chiuso Fleming dentro un laboratorio per 10 anni della sua vita dicendogli “Devi scoprire l’antibiotico” non avrebbe scoperto nulla.

Capisco.

Attualmente, i poteri pragmatici non capiscono tutto questo, e vogliono che venga trovata già in precedenza l’applicazione. Ma poi ti chiedi: “Di dove sono le più potenti aziende farmaceutiche? Germania e  Svizzera. E quando hanno iniziato a produrre farmaci? All’inizio del 20° secolo.“ Io iniziai studiando chimica organica, e tutti i nomi delle reazioni avevano, e hanno tuttora, nomi tedeschi. Perché? Perché per tutto il diciannovesimo secolo fecero esperimenti di chimica che non servivano a nulla. Trascorsero cento anni scoprendo che una cosa con un’altra reagiva in una certa maniera e se ne poteva ottenere una terza, e, più tardi, nel ventesimo secolo divennero una potenza farmaceutica. Ma ci vollero un secolo di faticose prove e tentativi.

Se avessero chiuso Fleming dentro un laboratorio per 10 anni della sua vita dicendogli “Devi scoprire l’antibiotico” non avrebbe scoperto nulla.

Qualcosa che non facciamo qui.

In Spagna vogliamo saltare tutto ciò, e viene chiesta da subito l’applicazione. Si sta uccidendo la possibilità di fare scoperte. Cosa stiamo vedendo al momento? Molte ricerche condotte con un determinato scopo non hanno portato a niente. E molte imprese farmaceutiche stanno abbandonando il settore del sistema nervoso centrale perché si sono spesi milioni con ricerche strutturate che non hanno scoperto nulla.

Non è un cammino da seguire.

Sicuramente la persona che pensò “Darò ketamina alle persone depresse” dovette lottare contro uno stigma. “Ma come, la prendono gli sballati nei raves, vuoi dare la droga alla gente” gli avranno detto. Ma attualmente di quell’uomo si parla persino su Nature, in quanto grande esperto. Se avessi prestato attenzione ad alcune facce schifate che vidi intorno a me quando arrivai qui, non avrei fatto nulla. Ma lo fai perché c’è qualcosa che ti stimola a continuare questo cammino.

Dopo aver studiato l’Ayahuasca per 20 anni, continua a presentarmi sorprese.

Se mi dovesse definire in poche parole cosa sia l’Ayahuasca, come lo farebbe?

Un pozzo di potenziale terapeutico che dovremmo studiare più a fondo. Direi anche che desidererei avere più risorse per le mie ricerche, dato che, dopo 20 anni dall’inizio dei miei studi, continua a presentarmi sorprese. Rappresenta la potenziale opportunità di sviluppare farmaci che possano aiutare persone per le quali attualmente non esiste nulla che possa risolvere i loro problemi.

 


ARTICOLO ORIGINALE DEL GIORNALE “LA VANGUARDIA”


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Alberto José Varela

Fundador de empresas y organizaciones; creador de técnicas, métodos y escuelas; autor de varios libros. Estudiante autodidacta, investigador y conferencista internacional, con una experiencia de más de 40 años en la gestión organizacional y los RRHH. Actualmente crece su influencia en el ámbito motivacional, terapéutico y espiritual a raíz del mensaje evolutivo que transmite.

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